
Fra cronaca e folclore. Un caso di femminicidio nostrano di oltre un secolo fa
Il 1° aprile 1894, “domenica de’ Bianchi” o “domenica in Albis” (dall’uso che allora voleva che i battezzati della notte del sabato santo portassero una veste bianca fino alla domenica dopo Pasqua), Maddalena Ancilli, una diciannovenne di Vitiano veniva massacrata con 15 coltellate dal compaesano Angiolo Bucchioni, detto “Pero” di 31 anni, pigionale, vedovo.
Il brutale delitto veniva rievocato pochi mesi dopo, di fronte al Tribunale di Arezzo che condannava la “belva” Bucchioni all’ergastolo, con l’aggiunta di 7 anni di segregazione ed obbligo del lavoro.
Contemporaneamente si appropriava della storia anche la cultura orale, che la raccontava in ottava rima per fiere e mercati.
Sulla stampa l’omicida era descritto come “un uomo che mostra di avere quasi quarant’anni, è di statura media, colorito bruno, ha il naso adunco, gli occhi infossati e dallo sguardo torvo, pochi mustacchi di colore rossiccio assai radi”, un uomo che “fu per vario tempo a lavorare in Francia e che fu poscia espulso in seguito ad un ferimento da lui perpetrato”. Insomma un attaccabrighe dal coltello facile, che un’altra volta, per futili motivi, aveva puntato il fucile contro Felice Bernardi, un suo paesano. La minaccia era parsa tanto reale che quella volta i suoi stessi compagni lo avevano disarmato e, per precauzione, gli avevano messo il fucile in condizione di non sparare. Un violento, dunque, con precedenti penali per ferimento in Italia e in Francia
Rientrato al paese, “Pero” si era invaghito di Maddalena, giovanissima e di straordinaria bellezza e per corteggiarla aveva preso a frequentare la casa di suo padre, Giovambattista Ancilli.
Una frequentazione mal tollerata dalla famiglia della ragazza che conosceva il pessimo carattere dell’uomo, ma forse non apertamente respinta dalla ragazza, probabilmente lusingata da tante attenzioni, almeno fino a che non avvenne un primo fatto di inaudita gravità.
Il 10 aprile 1892, domenica delle Palme, il Bucchioni si presentò a casa Ancilli in un momento nel quale la ragazza si trovava sola con la madre: spinse bruscamente la donna fuori di casa, sprangò la porta e, rimasto solo con la ragazza, tentò di violentarla. Maddalena aveva opposto un’aspra resistenza finché era sopraggiunto suo padre che aveva messo fine all’aggressione. Nelle settimane successive, però, il Bucchioni continuò a seguire la ragazza facendosi trovare ovunque, facendole dei veri e propri agguati e, appena quattro mesi dopo la prima aggressione, la affrontò per strada tentando ancora di abusare di lei, ma la ragazza riuscì in qualche modo a divincolarsi e a fuggire.
A questo punto Giovambattista Ancilli, impossibilitato a difendersi altrimenti, diffidò il Bucchioni di stare alla larga da casa sua e, nell’intento di impedire anche casuali occasioni d’incontro, decise di allontanare la figlia e, in gran riserbo, la mandò ad Arezzo, a servizio presso l’abitazione dell’avvocato Eliseo Sarri, noto professionista originario di Castiglion Fiorentino e, nel tempo, pubblico amministratore al Comune di Arezzo, alla Provincia e alla Fraternita dei Laici.
Ma nemmeno con la sparizione della ragazza dal paese il Bucchioni si rassegnò: continuò a cercarla e, come un amante respinto, cominciò ad accumulare risentimento e a manifestare esagerati propositi di vendetta, fors’anche sottovalutati dalla famiglia Ancilli.
Si giunse così alla settimana santa del 1894. La ragazza chiese ed ottenne dall’avvocato Sarri suo datore di lavoro e, in qualche modo suo protettore, di passare le festività presso i propri genitori.
La sua ricomparsa nella zona del “Fondaccio” non sfuggì al Bucchioni, il “pretendente” respinto, sempre all’erta e sempre più inferocito.
La memoria popolare, la stampa e gli atti giudiziari sono prodighi di informazioni su quel che avvenne: di primo mattino il Bucchioni si era posto ad affilare, sulla pietra dell’acquaio, un coltello da cucina con una lama lunga 15 centimetri e larga 4. Un suo conoscente, certo Fabianelli, testimoniò di averlo sentito dire che quel giorno avrebbe “macellato e sbranato Maddalena”. Un altro riferì che, per tagliare una corda, aveva chiesto al Bucchioni il suo coltello, ma che questi gli aveva risposto “Non te lo do perché ora devo andare ad ammazzare uno”. Altri raccontarono che “Pero” era stato all’osteria del Palarchi, aveva giocato a carte, mangiato e bevuto e che, a proposito del vino, aveva detto all’oste “Serbate quello che è rimasto in tavola per mio ricordo, perché ora vado ad ammazzare una donna”.
Ignara di tutto Maddalena, assieme ad alcune compagne, era da poco uscita dalla chiesa di Vitiano dove aveva assistito alla funzione e si era incamminata verso casa per la via che è proprio a fianco della chiesa. Fatti poco più di trecento metri venne improvvisamente affrontata dal Bucchioni che l’afferò e cominciò a colpirla con il coltello. Mentre la povera Maddalena implorava “Smetti Angiolino, perdonami!”, Paolo Pagani, un giovane del luogo che lavorava presso l’Ospedale di Siena, riuscì coraggiosamente ad aggrapparsi alle spalle dell’assalitore e a spingerlo in un fosso, ma questi rialzatosi in un baleno, vibrò una coltellata anche a lui, ferendolo in una natica e si buttò nuovamente su Maddalena colpendola ripetutamente. Infine, dopo averle lasciato il coltello nella gola fuggì gridando “Sei morta? Ora sono contento!”.
La furia del Bucchioni sul corpo di Maddalena è mostrata da quanto venne scritto nel referto autoptico: le vennero riscontrate 15 ferite d’arma da taglio, fra le quali una alla spalla, una al femore, una al polmone, una al cuore ed una alla gola.
Nel volgere di poche ore il Bucchioni venne tratto in arresto dai Reali Carabinieri della stazione di Rigutino in casa di Domenico Casi, un suo cugino, dove si era nascosto sotto un letto. Durante il suo trasferimento verso la caserma, cinicamente e spavaldamente confessò il delitto al brigadiere Antonio Zampieri che lo aveva arrestato e disse di non essere pentito del proprio gesto e di essere contento che Maddalena era morta perché, non potendolo fare lui “nessun altro se la sarebbe goduta”.
Presso la Caserma di Rigutino mentre il Bucchioni veniva interrogato dal Procuratore del Re e dal Giudice istruttore alla presenza del Tenente dei Reali Carabinieri Appeilius, una piccola folla fece una dimostrazione al grido di “morte all’assassino”. Il martedì successivo, verso le 9,30 “Pero” venne quindi trasferito al carcere di Arezzo (che allora si trovava nel Palazzo Pretorio, l’attuale Biblioteca cittadina) scortato da tre carabinieri. Dalla parte del Prato comparve una folla di almeno 500 persone che fischiava ed inveiva contro l’assassino, gridando “Belva” e, scrisse la stampa, “ne avrebbe fatta giustizia sommaria, se i Reali Carabinieri coadiuvati dal picchetto di guardia alle nostre carceri non avessero fatto tutto il possibile, per sottrarlo incolume all'ira popolare”.
Al processo, che si tenne in dicembre, il Bucchioni era totalmente isolato: ripudiato dalla famiglia che lo aveva abbandonato al proprio destino, non aveva trovato nemmeno un legale e dunque veniva difeso dall’avvocato Goti, nominato d’ufficio. Nel corso del dibattimento, che lo vedeva reo confesso, tentò un ultimo contraccolpo affermando di essere giunto al delitto accecato dalla gelosia per quella ragazza che lo disprezzava, ma che in precedenza aveva accettato le sue attenzioni tanto da rimanere incinta, ma la circostanza venne smentita dall’autopsia, nella quale era detto invece che la ragazza era illibata.
Dopo la condanna del Bucchioni la “pietà popolare” fece si che sul luogo del delitto venisse apposto un piccolo cippo, che a quasi 120 anni di distanza si può ancora vedere sulla via del Fondaccio, con un’epigrafe assai ambigua, che recita:
“Qui il primo aprile 1894
Da mano assassina
Fu uccisa
Maddalena Ancilli
Martire dell’onore
Sia esempio alle fanciulle
Il popolo qmp”
Per molto tempo, e fino a pochi anni or sono, tutta la storia venne tenuta a memoria attraverso un canto in ottava rima che un anonimo poeta (che qualcuno indica in un prete spretato di nome Antonio dell'Omarino) fece stampare su un foglio volante. A Castiglion Fiorentino, nei giorni di mercato, si poteva acquistare il foglio che raccontava questa vicenda che auspicava, malcelata dal “senso comune” della morale popolare, una atroce vendetta sull’assassino, ben oltre l’ergastolo, l’isolamento ed i lavori forzati.
Storia di Pero
Se natura mi assiste con l'ingegno
se tu mi ascolterai popolo grato
oggi di scriver mi prendo l'impegno.
Se le Muse non mi hanno abbandonato
un fatto tratterò di pietà degno
vi parlerò del fatto e come è andato
là nei pressi di Arezzo in Valdichiana
fece vendetta questa belva umana
Se allattato l'avesse tigre arcana
o nato nel deserto dell’Egitto
come racconterovvi a voce piana,
compiuto non avrebbe un tal delitto,
che non è degno di persona umana.
Nel libro del battesimo fu scritto:
Angiolino Bucchioni. A dire il vero
per soprannome fu chiamato Pero
Egli nacque con spirto di guerriero
sappiate ben che fin da bambinello
senza morale fu e punto sincero
portava sempre in tasca il suo coltello;
tanto da paesan che da straniero
sempre sete di sangue il lupattello
Primo a pagare fu il suo genitore
che per lui in fior di vita se ne muore
Perché lo percuoteva a tutte l'ore
con pugni e bastonate il figlio indegno
Ma quando ebbe morto il genitore
andiete fuor d'Italia fuor dal Regno.
In Francia si fermò con tale umore
ma di quella nazion neppur fu degno
in breve tempo venne discacciato
nuovamente alla patria è ritornato
Quando vi scorse il bel viso adorato
di Maddalena giovane zitella:
di lei si era tanto innamorato
che per sua moglie lui voleva avella,
ma l'amore di lei gli fu negato
dai bravi genitori della bella:
il fiore si diceva di Vitiano
come poteva amar questo marrano?
Qual lupo insidiator che al monte e al piano
s'aggira il giorno e pur la notte scura
finché la preda non gli viene in mano
va presso al caratello alla pastura;
così faceva Pero il disumano
sempre inseguendo l'amata creatura
bramoso di parlarci a tutte l'ore,
ma lei lo fa palese al genitore.
Il padre piano e senza far rumore
come uomo dabbene e delicato
disse alla cara figlia con amore
“Angelo mio quello che avrei pensato
è allontanarti da quel malfattore”.
Chissà nel cuore suo cos'ha pensato
il volere del babbo è da ubbidire
e un avvocato a Arezzo andò a servire.
Il malfattore che vide sparire
l'angelo col sembiante di colei,
senza più pace non potea dormire.
Più volte andiede a Arezzo a cercar lei
però non la poteva rinvenire.
“Per un istante mi contenterei
-dicea l'ingrato- farci una parola
il mio cultello gli metteri in gola”.
Ma il primo aprile povera figliola
che ritornò per far Pasqua a Vitiano
che la famiglia tutta riconsola;
nessuno avea pensato a un caso strano
ma l'assassino aspetta che sia sola
e s'avvia dal Palarchi piano piano.
Prende un litro di vino e beve presto
e un bicchier pieno sulla mensa è resto.
Disse il padrone “Che ne fai di questo?”
“Conservalo - rispose - a questa sera
che ora ci ho da fare un colpo lesto
per questo voglio aver la testa intera”.
Sorte fuori con atto disonesto
scorge colei che accompagnata l'era
da ragazzo piccino e una sorella
che lucente sembrava come stella.
Ma l'assassino di pietà ribella
contro di lei si scaglia e l'arma stringe.
Come reciso fior la meschinella
al primo colpo di cader costringe;
ei come lupo sopra ad una agnella,
tredici volte il ferro in petto intinge
in quel sangue innocente il traditore
e lei in mezzo alla strada se ne muore.
In braccio all'eterno creatore
tu sarai in seno agli angeli stasera
giacché per man di questo malfattore
non godesti già più la primavera.
Per la tua mamma ed il tuo genitore
per tutta questa valle fai preghiera:
che ci si possa ritrovare insieme
nel regno eterno dell'amato bene.
Il brigadier di Rigutino viene
nella sera medesima a arrestarlo.
A Castiglioni fu guardato bene
dopo venner da Arezzo a traslocarlo.
Pareano i cittadini tante iene
che vivo in piazza volevan bruciarlo
se dalla forza non era circondato
come agnello l'avrebbero sgozzato.
Meriterebbe di esser fucilato
ma tanto guasto non sarebbe niente
andrebbe a poco a poco consumato
e ridurlo a uno scheletro vivente.
Popolo perdonate se ho arbitrato
a raccontare un fatto sì dolente.
Non arrossire a prendere la storia
conserva nel tuo cuor questa memoria.